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SACER DIACONATUS ORDO
Nel “Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti”, al n. 80 si legge: "E’ auspicabile che il Vescovo istituisca un organismo di coordinamento dei diaconi, per programmare, coordinare e verificare il ministero diaconale: dal discernimento vocazionale, alla formazione e all’esercizio del ministero, compresa la formazione permanente.

Faranno parte di tale organismo lo stesso Vescovo, che lo presiederà, o un sacerdote suo delegato, insieme ad un proporzionato numero di diaconi. Detto organismo non mancherà di tenere dovuti collegamenti con gli altri organismi diocesani. Norme proprie, emanate dal Vescovo, regoleranno tutto ciò che riguarda la vita e il funzionamento di tale organismo.”
A parecchi anni dalla emanazione di questo documento, sarebbe interessante vedere in quante diocesi in cui esiste la diaconia ordinata, si è ottemperato a tale suggerimento: è un quadro che sconforta. Questa situazione fa emergere una sensibilità e una prassi pastorale divaricante e diversificata nella vasta parcellizzazione delle diocesi: uno sguardo da navigatore, nell’ampio oceano di Internet, può convincere chiunque.
Questo auspicio del Direttorio è  un primo e timido tentativo di riconoscimento del diritto di un ordine alla sua collegialità: non esiste, infatti, ordo  senza una forma di potestas  da esercitare da parte dei suoi membri non solo in una dimensione personale e comunitaria, ma anche collegiale.
Il Direttorio  vorrebbe fare almeno riscoprire l’aspetto comunitario e fraterno dell’esercizio della diaconia ordinata, ma neppure questo invito è stato raccolto persino in diocesi che hanno un fiorente diaconato.
E questo è solo un punto di partenza perchè si dovrà necessariamente giungere alla riscoperta della realtà collegiale del sacer diaconatus ordo, che avrà il diritto-dovere di esprimersi, all’interno di ogni diocesi, nel proprio grado, al pari del  collegio presbiterale. Il cammino sarà lungo e difficile, a causa di resistenze di ogni genere, e si dovranno attuare, se si ha intenzione di mantenere l’ordo come struttura gerarchica, dei cambiamenti anche a livello di Codice di Diritto Canonico. Si potrebbe ipotizzare, in una prospettiva molto futura, l’aggiunta di un capitolo,  al titolo III della sezione II, parte II, concernente la struttura interna delle Chiese particolari col titolo “De Consilio diaconali”; esso dovrebbe avere lo scopo precipuo di esprimere una normativa concernente il ruolo del diaconato nel coadiuvare il Vescovo e il suo Presbiterio nel governo della diocesi, a norma del diritto.
Ma la Chiesa,si sa, cammina coi piedi di un tempo volto all’eternità: già il Concilio di Trento aveva deciso il ripristino del diaconato; ed è stato fatto. Quasi cinque secoli dopo.
I diaconi che, oggi, rivendicano un ruolo specifico, all’interno del diritto ecclesiale, dell’ordine del diaconato, hanno polmoni ampi e sanno attendere, ma sperano ed agiscono perchè si rendono conto che, se la Chiesa non riconoscesse il ruolo della diaconia ordinata all’interno della sua totale diaconia, perderebbe l’opportunità di quel rinnovamento  suggeritole  dallo Spirito Santo nel Concilio Vaticano II.
La novità del Diaconato, cosiddetto permanente, ha suggerito agli estensori del Direttorio una prudenza notevole che emerge, ad esempio, nel n. 6  quando si paventa, nel caso di incontri di fraternità sacramentale tra diaconi, il pericolo di corporativismo. E, se questo avvertimento non bastasse, si ricorda, con tono severo, che proprio questa problematica ha influito sulla scomparsa del diaconato permanente nei secoli passati. Possiamo condividere questa messa in guardia: in 40 anni di presenza del diaconato, nonostante una teologia appena sufficiente a suo supporto, non molte riunioni di fraternità diaconale possono aver dato questa impressione.
In quest’ottica, si capisce anche il suggerimento della tutela di un presbitero, nominato dal Vescovo a presiedere questo primo organismo di coordinamento dei diaconi; terminata “la minore età” dell’ordo, si spera che questa ed altre tutele siano tolte.
Nel momento di elaborazione di un profilo ecclesiologico del diaconato, si deve tener conto dell’impossibilità di escludere i diaconi da qualsiasi forma collaborativa di cooperazione e di aiuto al Vescovo insieme col suo presbiterio. Il consiglio diaconale, quindi, purchè rappresenti di diritto il collegio dell’ordine diaconale, può ritenersi indispensabile a questo fine in una Chiesa tutta volta a recepire il nuovo concetto di ecclesialità scaturito dal recente Concilio Ecumenico.
Il diaconato e il presbiterato esprimono insieme la pienezza dell’unica diaconia di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, realizzandola nell’Eucaristia attraverso la duplice memoria cultuale ed esistenziale. Nello stesso modo, anche nella Ecclesia deve realizzarsi questa complementarietà. Se sulla Parola e sull’Eucaristia deve porre le basi la missionarietà della Chiesa, non si può prescindere dall’ordo dei diaconi a cui non compete certamente la presidenza eucaristica, ma che realizzano la più completa Koinonia nella diaconia del popolo di Dio di cui essi sono l’espressione all’altare del sacrificio.
Se si guarda in questa ottica il grado inferiore, non si può non attuare anche il suo aspetto collegiale e non solo per salvaguardarsi dal rischio reale dell’esercizio del diaconato in forma individualistica e personalistica.
L’opera dei ministri ordinati non può essere rinchiusa solo nell’ambito rituale, essa si colloca nel vasto quadro della nuova evangelizzazione che il Sommo Pontefice richiede. In questa luce e in questa dinamica, si prolunga il rendimento di grazie sacrificale  nell’agire che è proprio della diaconia.
Lo Spirito Santo veglia sulla sua Chiesa e la ispira ad essere tutta quanta ministeriale in una assemblea in cui i ministeri ordinati del presbiterato e del diaconato, di cui non può fare a meno l’Episcopato, risultano perfettamente complementari.
La storia della Chiesa registra la sparizione del diaconato e la surrogazione della sua potestas da parte dei presbiteri; la stessa storia della Chiesa vede la restituzione dell’ordo dei diaconi, ma non registra una reintegrazione di una qualche forma di potestas teologicamente e giuridicamente sostenuta in modo non aleatorio; si registra, troppo spesso, un rapporto tra presbiteri e diaconi che si basa sulla subordinazione e non sulla complementarietà. Finchè prevarrà questa logica, non si accoglierà l’esigenza nuova della Chiesa che vede nella diaconia ordinata una espressione speciale della sua ministerialità volta all’evangelizzazione nella carità verso chiunque è povero di Cristo e del suo annuncio.
Si ha, invece, l’impressione che si sia rimasti ad una accezione del diaconato come se quello transeunte dei presbiteri lo trasformasse da grado in gradino. La concezione apostolica del sacramento dell’ordine comporta, invece, la logica della complementarità che si potrebbe  esprimere nella configurazione di un ipotetico triangolo rovesciato alla cui base sta il popolo di Dio, tutto quanto ministeriale, ed i cateti che si dipartono da essa, sono il presbiterato e il diaconato che portano al vertice, costituito dal Vescovo che possiede la pienezza del sacerdozio, cioè realizza in sè la pienezza presbiterale e quella diaconale. Questa esemplificazione geometrica banalizza, forse, il pensiero che, attraverso di essa, si vuole esprimere e, cioè, l’integrazione e interazione tra koinonia e diaconia di cui il vescovo ha il carisma della sintesi.
E’, quindi, non solo a livello teologico, ma anche e specialmente nella prassi, che si deve attuare questa realtà se si vuole che Cristo sia la luce del mondo nel suo popolo. Ciò comporterà una serie di problematiche giuridico-canoniche notevoli; porrà dubbi seri e reali sull’opportunità di mantenere il diaconato transeunte, come gradino (in una concezione anacronisticamente scalare dei tre ordini)  di passaggio al presbiterato, e costringerà davvero a pensare che nessuno dei tre gradi dell’Ordine può esistere da solo o che si possa fare ancora a meno di uno di essi. Attraverso una prassi seria e non priva di indirizzo, come invece appare ora, si dovrà arrivare a capire che i tre ordini, solamente insieme, possono rappresentare Cristo Capo, Pastore, Sposo, Maestro, Servo, Sommo Sacerdote... pur nella specificità dei carismi e delle peculiarità inerenti il loro grado.
Ecco perchè le varie Conferenze Episcopali devono farsi garanti dell’esercizio di una prassi, nelle Chiese locali, che non sia estremamente differenziata e parcellizzata come ora nei confronti della novità conciliare della reintroduzione (non restaurazione) del diaconato come ordine.
Basta confrontare il Direttorio del diaconato delle varie diocesi e ci si rende conto che, in questo mare, navigano vascelli estremamente diversi anche nella sostanza.
Un Vescovo italiano afferma testualmente: “Con l’ordinazione, il diacono diventa membro del Presbiterio e viene incardinato nella Diocesi, alle dirette dipendenze del Vescovo”. Se qualcuno avesse dubbi in merito, dovrebbe andare a vedere la pagina web in cui si registra il Presbiterio di quella diocesi e, accanto ai nomi dei presbiteri e dei religiosi con incarichi parrocchiali, vedrebbe l’elenco nominativo dei diaconi.
Mi rendo conto che l’incardinamento in diocesi non è motivo di disputa, ma potrebbe esserlo l’immissione dei diaconi nel Presbiterio diocesano. Non è dato, però, sulla base della documentazione presente in internet, di comprendere qual è il senso che viene attribuito alla parola Presbiterio; i documenti non consentono neppure di rendersi conto dei rapporti che intercorrono tra il Consiglio Presbiterale e quello Diaconale che è pure istituito col nome di Collegio diaconale
Un altro Vescovo afferma che “...i diaconi, pur non costituendo un collegio, formano l’unico corpo dei ministri insieme con il Vescovo e il presbiterio...”; continua parlando di “spirito di comunione” di “cultura di comunione” e mette in guardia dal “corporativismo”.
Affermazioni, come si vede, datate e in netto contrasto con quelle del Vescovo precedente che, pur coi limiti imposti da una conoscenza limitata dei fatti, parrebbe collocarsi in un’ottica più aperta e più rispondente alle esigenze della Chiesa ed alla dinamica del significato teologico e della presenza ecclesiale del diacono.
In moltissime altre diocesi, si cercherebbe invano un Consiglio Diaconale. Perfino il presule che, nell’omelia di un’ordinazione diaconale dice di fare sua l’affermazione “...di una raccolta giuridica del IV secolo Le Costituzioni Apostoliche che recita – il diacono rappresenta, l’occhio, l’orecchio, la bocca del Vescovo. E’ l’angelo e il profeta del Vescovo.-“, non ha istituito nessun organo collegiale del diaconato che lo aiuti a mettersi in relazione con tanti occhi, orecchi e bocche e a trasmettere la parola del pastore ai singoli membri dell’ordine perchè essi siano angeli e profeti.
Ci sono persino presuli, ed è sconfortante affermarlo, che basano la natura teologica e la specificità del diaconato sul compito di mediazione, come se l’espressione medius ordo significasse una possibile realtà intermedia tra battezzati ed ordinati.
Se si pongono a confronto i rari statuti dei rari Consigli Diaconali presenti in Italia, si notano in essi, a parte le differenze anche vistose, linee diverse di intendimento teologico e di interpretazione ecclesiologica del diaconato. Ci sono, tuttavia, elementi comuni che possono essere colti per sottoporli ad un confronto e ad una discussione nelle sedi più opportune.
Un dato che emerge vistosamente è la mancanza assoluta di norme che prevedano la verifica da parte episcopale della applicazione dei vari articoli degli statuti, alcuni dei quali rimangono lettera morta a tal punto  che, in un Consiglio, ad esempio, è stato proposto di stralciare l’articolo che riguarda il parere da esprimere al Vescovo sul mandato pastorale da conferire ad ogni diacono.
In alcuni statuti, si legge chiara la preoccupazione di fare emergere più che la partecipazione responsabile dei Diaconi alla vita della Diocesi, l’impegno alle attività di formazione dei futuri diaconi e di quella permanente. Il Consiglio diventerebbe, quindi, un organismo formativo più che l’espressione di un impegno ministeriale per la “cura animarum” e la missionarietà.
D’altra parte, nei vari directoria diocesani emerge potentemente il problema della formazione a tal punto che, anche spazialmente, occupa i due terzi del direttorio stesso. Quasi nulla si dice, non solo della collegialità nell’esercizio del ministero diaconale, ma anche degli incarichi attribuibili ai singoli diaconi e della loro verifica e, soprattutto, si tace dei rapporti tra i ministeri ordinati: si accenna o si sorvola con eleganza.
Come in molti directoria, così in qualche statuto dei vari Consigli diaconali, si delinea la tendenza a valorizzare il diaconato in base alla sua funzionalità, alle carenze determinate dal calo vistoso dei presbiteri, alla necessità di manodopera qualificata in determinati settori della vita diocesana.
Sarebbe, invece, auspicabile che il Consiglio Diaconale avesse una potestas giuridicamente analoga a quella del Consiglio Presbiterale salvando, ovviamente, le diversità di carismi e specificità ministeriali; sarebbe importante che esistesse un’osmosi tra i vari Consigli; che si togliessero le tutele intermedie tra il diaconato e l’episcopato; che, davvero,  tale organismo potesse programmare, verificare e coordinare (sempre a livello di consiglio) ciò che concerne il ministero diaconale in diocesi e vegliare ad opportune relazioni e rapporti tra i ministeri ordinati; che, infine, partecipasse responsabilmente alla vita ed alla cura pastorale della diocesi.
I nostri Vescovi avranno il coraggio profetico di superare ogni resistenza nel favorire l’attuazione, anche graduale, della realtà collegiale del diaconato nella situazione attuale della ministerialità dove pare ci sia pochissimo spazio per i laici ed ancor meno per l’ordine del diaconato?
Sarebbe splendida una risposta affermativa corale perchè, si riconoscerebbe che il ruolo collegiale del diaconato contribuirebbe, nell’interesse dell’intera realtà ecclesiale, a definire la figura nebulosa del diacono. Il ministero diaconale deve essere vissuto, sperimentato ed esercitato nella sua individualità e collegialità perchè si possa comprendere meglio, anche teologicamente, la sua natura sacramentale ed il segno di grazia divina che esso rappresenta in mezzo alla Chiesa.
Nella prospettiva di una realizzazione attenta e tempestiva del collegio diaconale sta davvero un contributo validissimo atto a consolidare il profilo ecclesiale di un ministero che, per il bene della Chiesa, comporta una sua stabile e rapida diffusione.
Fino a quando, infatti, l’ordine diaconale non troverà una sua collocazione stabile e certa nella comunità ecclesiale, sussisterà una mutilazione di fatto dell’autentica tradizione, una sorta di tradimento della missionarietà totale e completa della Chiesa.

Paolo Diacono  A.D. 2003